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Ci fu un tempo in cui l'Artugna faceva sul serio e nella stagione delle piogge diventava una assordante bocca d'acqua. In quei giorni Barba Andrea Bronte, che stava al di là di quella furia, si lasciava andare a profezie più allarmanti del solito. Come tutti i vecchi, non si intimoriva mai di cose brutte e pericolose come i cataclismi o altre collere climatiche. Tipo l'Artugna che sgretolava giù mezza Valgranda. Si impuntava ad additare come pericoli le cose belle. Si trattava di un nuovo andazzo che avevano assunto i giovanotti di Dardago che, alla fine della prima guerra lavoravano a Venezia, e al termine della stagione, in autunno, rientravano a trascorrere l'inverno a casa. Erano curati, vestiti bene, con taglio di capelli da parrucchiere (e non con la macchinetta da tosà el muss) e anche un tocco di brillantina profumata...
Era il primo segnale di benessere e normalità conquistata, dopo le rovine della grande guerra che aveva gettato tutti sul lastrico. Ma a Barba Andrea non piacevano e li guardava storto. Quelli che invece non si erano mossi dalla consueta vita contadina e i 'deva in mont' , gli passavano davanti con l'aria da selvatici.
Barba Andrea li osservata soddisfatto perché li trovava uomini veri, affidabili, laboriosi, quasi biblici come lui, insomma. Così, indignato, coniò il termine"spezieri" per bollare i bei giovanotti come "venessiani mangia a ufo" (erano i commercianti di spezie che notoriamente traevano lauti guadagni con poco sforzo).
A dispetto delle sue previsioni, gli "spezieri”, per lui bellimbusti, piacevano alle ragazze e facevano strage di cuori. Anche molte ragazze di Budoia (tra cui mia mamma e due mie zie) sposarono quei "tipini" di Dardago, provocando sassaiole e scontri campanilistici finiti con festosi matrimoni e balli di riconciliazione.
      Anna Zambon ‘pinal’